sabato 4 aprile 2009

incombenze che incombono

Ok. Fino ad ora abbiamo girato intorno agli argomenti e non abbiamo scritto nulla di sensato (non che questa sia la mia pretesa, naturalmente). Io aspettavo che qualcun altro svolgesse questa incombenza e probabilmente loro aspettavano che lo facessi io, così, dato che non ho niente da fare, mi propongo di illustrarvi cosa, per mia indole, tenderò principalmente a scrivere.
Fino a non molto tempo fa, credevo fermamente nelle parole soprattutto perchè, avendo una particolare memoria associativa di immagini e suoni, sono portata a ricordare ogni singolo discorso e il luogo nel quale si svolge.
Adesso ho modificato il mio rapporto con lo scrivere e con il pensare.
Dico questo per puntualizzare fin da subito che probabilmente i miei post saranno incongruenti e vi sembreranno del tutto fuori luogo o contraddittori: non preoccupatevi, è normale! L'essere umano non è forse una creatura contraddittoria?
Pensieri e parole. Torniamo a questo punto.
Da quel che ho appena scritto sembrerebbe che non credo più nè nei pensieri, nè nelle parole. Potrebbe essere così.
Perchè è accaduto questo? perchè, riflettiamoci: sia gli uni che le altre sono dettati dalle circostanze e, se, come è palese, le circostanze non fanno che cambiare, perchè non dovrebbero mutare anche le opinioni e le sensazioni?
Non è bene fidarsi dunque, nè degli altri, nè di se stessi e, anzi, soprattutto di se stessi.
Vi è mai capitato di fare qualcosa e successivamente di ritenere di aver fatto la cosa sbagliata? da cosa è dettato questo cambiamento di idea? da cosa, se non dalle circostanze che sono cambiate?!
Qual'è dunque la soluzione?
Sul mio comodino c'è un libro.. lo ammetto, non ho ancora iniziato a leggerlo, ma il titolo è "l'ospite inquietante".
A volte immaginare il contenuto di un libro può essere utile e può stimolare nuove riflessioni.
Quello che so è che l'ospite inquietante a cui si fa riferimento è il nichilismo.
Il nichilismo. Ecco il tema a cui volevo arrivare.
Non fidarsi delle parole, non credere a nessuno, non credere a se stessi e alla propria morale perchè tanto, presto o tardi, tutte queste cose cambieranno. E' forse un caso di nichilismo?
Io vedo in questa diffidenza una forma di protezione. E' come uno scudo. E' un istinto primordiale: si tratta di autoconservazione.
Umberto Galimberti, l'autore del libro, afferma che questo fenomeno di nichilismo si sta sempre più diffondendo dei giovani, che, non avendo più la possibilità di intravedere un futuro, si rifugiano nella negazione di ogni verità e di ogni morale. E' un discorso che principalmente prende di mira la società ma io voglio rimpicciolirlo ed adeguarlo alla sfera privata.
Per quanto riguarda il singolo, cosa comporta la perdita della morale?
In una persona che chiama a sè il nichilismo io percepisco come una sorta di anestesia.
Il pensiero che, se niente ha realmente valore, niente può realmente tangerci o comportarci nessun trauma di sorta, non ci porta forse a credere che il nichilismo non può che rafforzare la nostra figura?
Se non esistono neanche le emozioni noi non possiamo soffrire.
Sotto questo punto di vista tutto sembra incredibilmente facile e il discorso non fa una piega: perchè farsi del male incatenandosi ai fatti, alle azioni, alla morale, agli ideali, ai sentimenti, ai pensieri, a ciò che si vede?
Chi farebbe questo, se non un idiota?
Il nichilismo sembra essere l'unica soluzione.
Il problema sopraggiunge quando ci si accorge che lo stato di anestesia, attutendo ogni emozione, limita anche la felicità.
La questione è: vale la pena rinunciare alla felicità per non soffrire?
Cosa è realmente importante? quali sono i nostri limiti? Cosa possiamo sopportare?





1 commento:

  1. No, perchè ammazzarsi per non morire non è una buona scelta. Soprattutto quando potresti anche non morire, o vivacchiare, o vivere alla grande. Modi diversi di reagire. Negli anni '70 artisti che si trovavano in un mondo pieno di dolore e falsità nel trasmettere questo dolore (guerra in Vietnam, notizie edulcorate... giornali pilotati) scelsero di reagire cercando il dolore rimasto più vero e soprattutto più veritiero nella loro percezione: quello che potevano provocare sul loro corpo. Tagliarsi... abbracciare un mazzo di rose spinose fino a sanguinare... si disse che erano pazzi, autolesionisti, la chiamarono - e forse non a torto - antiarte. Ma non discuto su questo, discuto sulla reazione alla distorsione della percezione del dolore: lì lo si affrontava, cercando quello più vero, a costo di lesionarsi, di dare il proprio sangue. Qui, si preferisce restar sordi piuttosto che sentire il dolore di una situazione confusa, piuttosto che guardare in faccia una situazione confusa che altera il sentire. I ragazzi rifiutano. Stanno scegliendo loro stessi e non il mondo, così facendo, poichè ricorrere al nichilismo significa chiudersi per non soffrire. La risposta alla tua domanda "cosa è realmente importante" dovrebbe essere tutto, tranne loro stessi, perchè quando si è giovani si ha tutto il diritto di ritenere importante il mondo, più di se stessi. I vecchi, passi pure che pensino al loro orticello come alla cosa che più li interessa: si sono indeboliti, non hanno più la voglia e la forza di pensare di cambiare il mondo. Ma voi no. Non dovreste permettere questo, non dovreste permettere che qualcuno vi possa portare a sentirvi già sconfitti prima di partire. Non si vince, così. Avrete già perso, anche se non soffrirete.

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